sabato 18 settembre 2010

“DESERTI DI PIETRA” DI SILVIO ZANGARINI

Deserti di pietra” è un viaggio attraverso una Torino magica, esoterica e selenitica.

Silvio Zangarini ci conduce in un universo onirico fatto di luci e ombre, di ciottoli e strade, di suggestioni emblematiche e misteri seducenti.

Il sorprendente equilibrio compositivo delle sue opere non è mai statico, bensì estremamente dinamico; è frutto di una doviziosa ricerca stilistica e di un raffinato gusto estetico, e sgorga da un fermento vibrante e vitale, accompagnato da un'armonia primordiale e perfetta che sa svelare la bellezza contenuta in nuce in tutte le cose, carpita dall'occhio dell'artista nel momento in cui essa si palesa.

Le sue fotografie, se guardate in modo frettoloso e superficiale, potrebbero apparire come mere riproduzioni tout court di alcune piazze di Torino, e invece racchiudono un livello di lettura molto più sottile e profondo: si addentrano nelle viscere di questa città ambivalente e affascinante riuscendo a cogliere la sua essenza nascosta.

Zangarini usa il linguaggio apparentemente ortodosso delle immagini e lo rimpasta, lo plasma con la materia impalpabile di cui sono fatti i sogni, facendosi aedo di una semiologia del tutto personale e originale, che parte dal mondo fenomenologico per raccontare i misteri affondati nei territori segreti dell'anima umana. Un viaggio duplice, quindi, non solo urbano e tangibile ma anche individuale e trascendente, che si snoda alla ricerca di se stessi nel mondo, in virtù di un rapporto inscindibile con lo spazio fisico che la nostra anima abita, ma che oltrepassa la realtà transeunte per avventurarsi altrove, dove non esistono né spazio né tempo, in un luogo sospeso e surreale.

Lo scatto della sua macchina fotografica, fermando l'attimo, ne sottolinea sia la sua intensità unica, eterna e irripetibile, sia il suo inesorabile fluire verso uno spazio temporale e mentale che ancora deve compiersi, e che attende altri attimi affinché l'ordito sfaccettato di una storia possa essere tessuto.

Deserti di pietra” è dunque uno splendido encomio alla bellezza elegante e notturna di Torino, ma anche e soprattutto alla bellezza che appartiene a ognuno di noi, alla vitalità e alla curiosità che ci permettono di ritrovare l'Ulisse che dimora dentro la nostra anima. Il viaggio è un istinto ineludibile e ontologico, così come è ineludibile l'intrinseca dicotomia tra movimento e stasi, che ci spinge, da una parte, a dispiegare le vele per andare alla ricerca di ciò che è ignoto e anagogico, e, dall'altra, a custodire e preservare un porto a cui poter attraccare, un'Itaca a cui poter fare ritorno in caso di burrasche e tempeste, perché il senso della nostra identità è sempre indissolubilmente ancorato a tempi e a luoghi, e si può partire solo sapendo che si può tornare da qualche parte per ritrovare qualcosa.

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